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12 marzo 2010

Non vorrei mai perdere un vizio

Traslocare, rilasciare, sloggiare,
firme veloci, tempi voraci,
copie di documenti sepellibili imbucate dentro a cartelline oltraggiate da grafie illeggibili, da conservare e ammucchiare, da lasciare a impolverare su scaffali grigi e flessi al centro, giorno dopo giorno, dietro alle spalle di impiegate sempre più larghe e dalle gonne sempre più corte, veloci a graffettare fotocopie sgranate di fototessere derubate di ogni spicciolo di somiglianza residua;  poi, via.
Ora, ascolta come rimbomba la tua voce nel vuoto d'una stanza che ho abitato a lungo, e mai più abiterò;
raddrizza quella colonna di scatole di cartone a un passo dalla porta, ormai è ben più alta del mio ego, ma meno contorta, ripiena di vita cubica, imballata e da spedire;
per il ritiro ore pasti va bene.
Il tempo di andarsene, il tempo di restare, sottigliezze incomprensibili al mio cervello anarchico, ed al respiro sismico della mia noia ombrosa.
In forma. Vorrei essere almeno in forma. Baciami.
Ho smarrito già altre ricevute di ritorno di speranze che avevamo spedito avanti nel futuro, e che son andate dissipate ormai, e riposano fuori luogo, lontanto dal mio debole senso di colpa. Ne smarrirò di nuove.
Album saturi di colori rubati a momenti preziosi. Assaggia un po'. Cosa è mancato a quel tempo: sale?
Ruotare chiavi, tasche pesanti, campane in lontananza, ma il mio cellulare? C’era un po’ di primavera nel vento, finalmente, oggi. Poi la sera inverna, e gioca la Champions.
Cassetti zeppi di centesimi perduti, vecchi portachiavi e batterie esauste. Cartoline.
Giù le foto, giù i quadri e gli specchi. Quali specchi ? Non ho specchi, a parte la carta bianca su cui scrivo, voglio dire.
Fermo al semaforo rosso ho sognato di poter sistemare i miei difetti di prospettiva con un po' di stucco bianco a presa rapida, ma era solo un sogno, è arrivato il verde, ed io son sempre più sbilenco e trasversale, multi-tasking.
Tinteggiare, tinteggire, eh, eh; tinteggiare, tinteggiare, eh, eh. Mio padre che mi aiuta a fare gli angoli e controlla gli spigoli. Una volta ero io a fare gli angoli.
Restano solo piccoli graffi emozionali su pareti glabre, e qualche ombra dove il colore è meno denso.
Inseguivo le tue gambe su per le scale, era una notte di vento e luna, nella luce soffusa dei tuoi movimenti lucidi: ero felice, sai, tra i tuoi capelli arresi su nuvole di cielo;
ero solo felice, per un attimo, ero solo una cosa e quella cosa era la felicità;
ero felice ed autentico, ed in equilibrio e senza segreti; ma tu già sai.
Lo sarò ancora.
Sotto il cuscino ho ripiegato quel sogno che non t’ho mai raccontato, come un pigiama, per poterlo reindossare: eravamo noi, noi, e poi...
L’ultima lettura al contatore, abbiam speso abbastanza vita qui.
Nuove pareti,
schivo l'imbarazzo di scaffali zeppi di libri affascinanti che non avrei dovuto comprare,
testo le ruote della bici sgonfie dopo l'inverno,
imbraccio la bambina con le corde un po' molli ed ossidate: senti che Sol però, come suona ancora, la maledetta. Dimmi il buon motivo per cui ho smesso di suonarti, dimmelo tu perchè. No, qui non è malaccio, ma c'eravamo promessi altro, mi pare. Stadi pieni, adrenalina, qualche pub, sigarette senza cancro, fuori, nella notte. Fegati intercambiabili nel doppio fondo di notti brave.
Vita che graffiasse. Suona, dai, suonami tu un po', io ci metto le mani.
Più nulla da celare agli occhi curiosi dei vicini.
Si, arrivo, ma tu versa.
Alle nuove stanze e pareti e bollette e speranze, perchè questo è l’anno buono, me lo sento: compro casa, scrivo un libro, e me ne vado in giro per il mondo un annetto. Poi magari mi sposo, cinque o sei pargoli di quelli da galera, opere d'Arte vere, che ci stondano gli angoli e ci spezzano le ali, cacchio.
Bel programma.
Il cliente da lei chiamato non è al momento IRraggiungibile, la preghiamo di non disturbare e provare più tardi.
Chiudi, chiudi, ho io le chiavi.
Nuovi programmi da far fallire.
Non vorrei MAI perdere un vizio.

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